Si stanno vivendo rapidi cambiamenti globali a causa degli impatti ambientali di molte attività umane. I tassi di estinzione delle specie corrono: solo le popolazioni di animali selvatici hanno registrato una diminuzione del 68% a partire dagli anni ’70; c’è la più alta concentrazione atmosferica di gas serra degli ultimi 3 milioni di anni, i disastri legati al clima aumentano in modo esponenziale. Questa è la fotografia del pianeta alla vigilia della Cop26 sul clima di Glasgow che alimenta molte speranze, ma anche preoccupazione. I Paesi del G20 si presentano all’ appuntamento, quasi tutti, tranne l’India, con obiettivi di decarbonizzazione, ma molti Paesi non hanno ancora alcun piano verso le emissioni zero.
Proprio l’imminente Conferenza Onu sul Clima ha costituito il filo conduttore della seconda giornata degli Stati Generali della Green economy – dal titolo: “Imprese e Governi verso la neutralità climatica” – che ha fatto il punto sulle problematiche ancora aperte, alla vigilia dell’appuntamento di Glasgow.
“L’ importante – ha detto Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile- è che i Paesi che hanno preso gli impegni di decabonizzazione proseguano comunque su questa strada, dimostrando che un’economia decarbonizzata e circolare migliora lo sviluppo, la competitività, l‘occupazione e costringendo così i Paesi ritardatari, in primis la Cina, ad inseguire”.
Da una carrellata fatta durante la sessione, emerge che l’l’Ue ha presentato II 21 aprile scorso gli obiettivi climatici, con una riduzione del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e la neutralità climatica al 2050. Gli Stati Uniti hanno annunciato una riduzione del 50-52% rispetto ai livelli del 2005 per il 2030 e zero netto per il 2050, ma – come ha spiegato nel suo intervento Jeffrey Sachs, Direttore del Center for Sustainable Development della Columbia University – mentre c’è desiderio di azione da parte degli americani, nel governo centrale, nonostante l’ impegno di Biden, resta insoluto il problema storico dello scetticismo climatico ancora consistente nel Congresso americano (non solo da parte di tutti i Repubblicani, ma anche di alcuni Democratici), fortemente condizionato dalle lobby dell’energia fossile (”il sistema politico Usa è corrotto dalle lobby del petrolio”, ha affermato Sachs) Il Regno Unito ha fissato un Ndc (national determided contribution) che prevede almeno il 68% di riduzione per il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e, recentemente, un nuovo obiettivo del 78% per il 2035 con la neutralità climatica al 2050; la Russia ha preso l’ impegno di raggiungere il traguardo di 0 emissioni nel 2060, l’ Australia ha appena annunciato l’ impegno a zero emissioni al 2050; la Cina – maggiore emettitore di gas serra al mondo e principale consumatore di carbone mondiale – negli ultimi sei mesi ha pianificato un aumento della produzione di energia elettrica da carbone, non ha assunto un impegno di riduzione delle emissioni di gas serra, definito e significativo, entro il 2030 e prevede di raggiungere quota zero emissioni solo entro il 2060, senza però dire come. “Non possiamo, comunque, fare una guerra fredda contro la Cina -ha detto Sachs– che non porterebbe ad alcun risultato. Dobbiamo invece cercare di cooperare per convincerla”.
Numerosi, infine, in questa seconda giornata degli Stati generali della Green Economy, i contributi delle aziende, che hanno tutte illustrato il loro impegno per contribuire in maniera costruttiva al processo della transizione ecologica.